Fondo Giovanni Macchia

Giovanni Macchia

«La mia biblioteca non è un bunker della cultura, una camera blindata che mi protegga e mi impedisca ogni rapporto col mondo. È se mai una finestra aperta sul mondo, sulla vita, sulla storia».

La figura di Giuseppe Garrera è importante anche per il ritrovamento dell’archivio personale dello studioso Giovanni Macchia, uno dei critici letterari italiani più importanti del Novecento, che si occupò di tutti i campi della letteratura, specializzandosi in quella francese, anche se non amava essere chiamato «francesista». Era, inoltre, amante della musica, del teatro e della pittura. 

Giovanni Macchia nacque a Trani il 14 novembre 1912, ma presto si trasferì a Roma per esigenze lavorative del padre. All’università si iscrisse alla facoltà di Lettere e Filosofia, dove conobbe Pietro Paolo Trompeo, grazie al quale scoprì e si appassionò di Baudelaire, scrivendo una tesi di laurea proprio sul poeta maledetto.

La carriera accademica di Macchia ebbe inizio all’Università di Pisa, dove ottenne la cattedra di Lingua e letteratura francese. Nel 1948 vinse un concorso presso l’Università di Catania, ma nel 1950 ottenne un posto presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Roma. Due anni dopo, venne scelto per la direzione dell’Istituto del Teatro dell’Università di Roma, mentre nel 1958 si occupò del corso Storia del Teatro e dello Spettacolo presso la Facoltà di Lettere.

Macchia morì il 30 Settembre 2001, ma nel corso della sua vita partecipò e diede vita ad alcuni circoli letterari, collaborò con numerose riviste e giornali e scrisse molte opere; vinse inoltre alcuni premi, come il premio internazionale Balzan per la Storia e critica della letteratura nel 1992 e il «Grand Prix de la Francophonie» dell’Accademia di Francia nel 2000.

I libri ebbero un ruolo fondamentale nella sua vita e questa sua passione si concretizzò nella nascita di una biblioteca di straordinario valore storico e bibliografico, che oggi prende il suo stesso nome. «Ai primi tempi la ricerca del libro aveva avuto un valore strumentale. Doveva rispondere al mestiere che avevo scelto. Poi la mia ricerca si era allargata. E confesso di avere amato il libro, come un tempo il violino, anche per la sua bellezza. […] Ma la bellezza di un libro non si esaurisce nel gusto di vederlo, di ammirarlo. Racchiude un universo di immagini mentali e fantasmi e pensieri da interrogare pazientemente. Perciò non potevo divenire un bibliofilo.» così scriveva lo studioso nei suoi Frammenti di una autobiografia letteraria.

La preziosa raccolta di libri fu vincolata dallo Stato nel 1979 e poi acquistata dalla Fondazione Roma nel 1993, con la promessa che una volta morto il proprietario sarebbe dovuta passare in donazione alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, dove oggi gli ha riservato una sala dedicata.Incredibilmente, durante lo spostamento della biblioteca dal luogo originario alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (rimase per anni nei magazzini), parte dell’archivio venne disperso. Nel 2011, però, i documenti perduti vennero incredibilmente ritrovati proprio da Giuseppe Garrera presso il mercato di Porta Portese a Roma; si trattava di alcune lettere e manoscritti del critico letterario, che rischiavano di svanire per sempre. Garrera acquistò il materiale, lo ordinò e lo rivendette in blocco alla Biblioteca Nazionale, ricomponendo l’archivio nella sua integrità.

La biblioteca macchiana conta circa 30.000 volumi e documenti, che riflettono la sua attività di critico e i suoi interessi. È possibile ritrovare molti titoli della letteratura francese, dalle opere più antiche, come l’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, agli autori più contemporanei. Molti dei suoi libri portano i segni della sua attività di studioso, annotazioni e postille, ma la biblioteca contiene anche molti libri, che riflettono la personalità di Macchia in quanto appassionato lettore: infatti, ci sono sezioni di libri dedicati al teatro, all’arte, alla letteratura italiana e ai classici. 

La biblioteca è anche un’eccezionale collezione, infatti Macchia acquistò numerose prime edizioni e libri antichi o di pregio, attraverso aste e librerie d’antiquariato. Era terribilmente affascinato dai libri antichi tanto che scriveva:

«Il libro antico ha suscitato sempre in me incredibili slanci della fantasia. Il libro antico ha un suo passato, è vissuto in tante case prima di entrare nella nostra, ha visto passare la malinconia di tante giornate, ha partecipato alla vita quotidiana nella solitudine della lettura, si è salvato dai naufragi e dai terremoti. Ci restituisce miracolosamente il senso di un’epoca. E perciò, quando un volume, appartenuto a un grande scrittore, approda chissà dopo quante peripezie a casa nostra, nasce in noi la suggestione che un po’ del calore delle mani che lo hanno sfiorato, e anche un po’ del suo pensiero, si sia depositato su quelle carte ingiallite».

Il critico era molto legato ai suoi libri, soprattutto alla prima edizione della Ursule Mirouet di Balzac e all’edizione del 1869 di Les fleurs du mal; il libro che, però, occupò sempre un posto speciale nel suo cuore fu il primo volume delle Oeuvres di Baudelaire nell’edizione della Pléiade, che Trompeo gli donò dopo la sua morte.

La biblioteca Giovanni Macchia è nata dalla professione e dalla passione di un uomo che amò profondamente la letteratura, e le arti in generale, e l’autenticità della preziosa collezione rischiava di perdersi per sempre, ma grazie all’operazione di Giuseppe Garrera, e al mercato dell’usato, è riuscita a conservarsi nella sua interezza.